Opere di Giacomo M.

La grande battaglia contro la strega Amigdala

(Giacomo M. – anni 12)

Giovanni si alzò dal letto, ascoltando gli squillanti richiami di sua mamma, era un nuovo giorno per lui e doveva andare a scuola. Ridiscese la scala a chiocciola per arrivare in cucina, dove la mamma stava preparando la colazione, quest’ultima disse: ” Giovanni, in soffitta ho trovato uno strano libro impolverato, vorresti leggerlo”? Giovanni annuì e, senza farselo ripetere due volte, lo prese, lo adagiò sul tavolo e incominciò a leggerlo:

“In una distesa paradisiaca, dentro le mura di un villaggio dove tutti vivevano in completa armonia con gli altri denominato Segretis, c’erano due amici di nome Robin e Melvis; erano anzi grandi amici, la felicità dell’uno dipendeva da quella dell’altro e non passava giorno che non giocassero e divertissero a scorrazzare per le viuzze del quieto villaggio.

Un giorno però accadde l’inimmaginabile: la strega Amigdala, assime alle sue seguaci Dopamine e Coline, rapì Melvis lasciando Robin solo e desolato. Come ci si poteva immaginare, Robin vagò in cerca del suo amico per anni e anni, ma di lui nessuna traccia, solo rabbia e disperazione.

Robin venne a conoscenza di Guttin, detto emgiffolo, un grande mago capace di riportare ovunque la felicità con la sua sapienza. Con lui formò una potente squadra che superò ardite prove, sconfisse Coline e Dopamine ed arrivò nel covo di strega Amigdala, dove era tenuto prigioniero Melvis.

Seguì un’aspra battaglia in cui più volte la sorte sembrò sorridere alla strega, ma alla fine il bene trionfò e nel villaggio i due amici, assieme a Guttin, organizzarono una grande festa in onore della felicità. L’Amigdala aveva finalmente avuto la peggio”.

Giovanni ripose il libro, stupito e nel contempo strabiliato di cosa era capace di compiere la mente umana.

Como, febbraio 2011

L’origine delle lacrime dell’uomo

(Giacomo M. – anni 12)

C’era una volta, in un passato remoto, la contea di Tel-Naeir; era un luogo molto vasto e pieno di pericoli. Su una rupe al centro di questa pianura era arroccato un castello di ghiaccio con guglie innevate; lì risiedeva la padrona della contea, si chiamava “regina dei ghiacci” e per molti anni aveva perseguitato il suo popolo fino a tal punto che il cuore delle persone si era tramutato in un pezzo di ghiaccio e il loro volto era diventato inespressivo.

Una persona, però, si era salvata grazie al calore di un fuocherello acceso nella sua capanna, si chiamava Natura e ormai era molto vecchia, ma aveva un piano per salvare il regno.

Il giorno seguente chiamò a sè la flora e la fauna e prese anche il fuocherello crepotante; arrivarono al castello della regina e gli alberi più alti, come le sequoie, si abbatterono sulle guglie, rompendole; invece gli animali circondarono il castello e, producendo calore, lo sciolsero definitivamente. Nella massa acquosa rimasta, spuntò la regina dei ghiacci; ma prima che potesse dire una sola parola, Natura le buttò sopra il fuocherello, sciogliendola e salvando Tel-Naeir.

Naturà recuperò il fuocherello, lo passò di persona in persona, di modo che tutti potessero sciogliersi a vicenda il ghiaccio che ricopriva i loro cuori e riacquistare vitalità.

Ora si dice che il ghiaccio liquefatto e divenuto acqua nei cuori delle persone diventò lacrime di gioia e di felicità, mentre il ghiaccio sciolto dalla regina e dal suo castello diventò lacrime di tristezza e di dolore.

Como, 11.01.2011

Poseidone e il coccio dell’immortalità

(Giacomo M. – anni 12)

Nelle profondità marine, all’interno di una grotta oscura presidiata da un’enorme creatura, c’era un coccio con incisa sopra una frase. Chiunque avesse letto quella frase, avrebbe acquisito la potenza e l’immortalità pari a quelle di Zeus; questo era quello che venne a sapere Poseidone pochi giorni prima e adesso se ne stava assiso sul suo trono, meditante.

Zeus, suo fratello e re degli dei, lo veva punito sottraendogli il dono della vita eterna perché aveva tentato di impossessarsi di uno dei suoi fulmini.

Mentre poseidone escogitava un piano per riacquistare i suoi poteri, gli balenò in mente il coccio dell’immortalità, scattò in piedi e prese il tridente, uscì dal suo tempio sottomarino e nuotò per diversi giorni fino a quando non arrivò all’entrata della grande grotta. tentò di varcare la soglia ma, sentendo un poderoso ringhio, indietreggiò e constatò che quella che a lui sembrava una grotta altro non era che un gigantesco pesce.

La gigantesca creatura tentò di schiacciarlo con la massiccia coda ma Poseidone aggirò e trapassò uno dei tre occhi della creatura con il tridente. La creatura sussultò e Poseidone fu sbalzato via e atterrò proprio davanti alle fauci che lo inghiottirono senza esitazione.

Il corpo interno della creatura era fatto di roccia, proprio come una grotta, ed il re dei mari scorse un luccicante coccio: era il coccio dell’immortalità. Poseidone si affrettò ad andarlo a leggere ma sopra non vi era scritta alcuna magia, c’era scritto solo: la vera forza e la vera determinazione risiedono solo ed unicamente nel cuore di ognuno di noi.

Poseidone, confuso, avvertì la presenza di qualcuno alle sue spalle, era Zeus che disse: “Fratello mio, hai dimostrato finalmente il tuo valore e la tua fierezza, ma soprattutto hai scontato la pena per av ermi sottratto il fulmine; io ti donerò nuovamente l’immortalità”, e da allora Poseidone fu sempre felice di essere se stesso.

Como gennaio 2011

Vincent van Gogh “Campo di grano con corvi"

Riflessioni di Giacomo M.

(Como – Ottobre 2011)

Questo quadro dall’aspetto lugubre e inquietante rappresenta un campo di grano diviso da tre vie e sovrastato da un cielo cupo nel quale si librano in modo sparso dei corvi neri come la pece.

Si presume che questo sia stato l’ultimo quadro di Van Gogh e, all’apparenza sembra un quadro insensato ma, se lo si guarda nei dettagli e anche dal punto di vista critico, si può intuire che il pittore voleva esprimere per l’ultima volta- prima di suicidarsi- tutta la sua confusione e la sua disperazione derivanti da cause che lui non riusciva in parte a spiegare. La sua instabilità mentale era determinata dalle incomprensioni che doveva sopportare e anche dal dolore e al contempo dall’ammirazione che egli provava per le persone povere o che erano a disagio.

Lui dipingeva di getto con una tecnica unica nel suo genere, infatti il quadro è stato realizzato con piccole pennellate; come se fossero dei frammenti di un mosaico che Van Gogh aveva già in mente.

Ora analizziamo i particolari: i colori suscitano tristezza, i corvi sparsi nel cielo scuro e le tre vie che avanzano in direzione diversa esprimono perfettamente la sua indecisione e confusione; la luce è ovattata grazie a un contrasto irresistibile di colori. Un binomio magnifico tra elementi è stato quello di unire le spighe al vento, che simboleggiano la vita che prima o poi si spezza, con i corvi, tipico emblema della morte che vola rasente sulle sue future vittime.

Dal punto di vista tecnico e concreto il dipinto possiede delle linee-forza: la strada centrale, che si dirige sembra non abbia fine, e i corvi che si dirigono in alto, verso l’oscurità.

Il modo in cui sono dipinte le spighe inoltre, dà perfettamente l’impressione della loro debolezza nei confronti del vento. L’artista usa colori freddi per il cielo e colori caldi per il grano e pare che l’oscurità, partendo dall’alto, prima o poi sommergerà tutto.

Poesia : IL SOLE

(Giacomo M. – anni 12)

Il sole è una stella splendente,

il sole è un volto raggiante,

il sole è un falò incandescente;

in estate riscalda,

nessuno se ne cura

e lui risorge all’alba;

senza timore né sosta,

come un bambino stremato,

al tramonto si scosta;

ci cingono i suoi raggi,

senza fretta li apprezziamo,

in inverno piccoli assaggi;

piccoli assaggi,

con un grande significato,

come ogni padre che viene rispettato.

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